METAMORFOSI

METAMORFOSI

Le Metamorfosi di Ovidio, un testo classico di incredibile contemporaneità, è una grandiosa rappresentazione del carattere instabile, precario e illusorio della realtà; dove una definizione univoca, della natura, della vita, dell’uomo risulta essere non solo antistorica ma addirittura impossibile.
Il mondo, l’umano, va al di là della compattezza e dell’univocità, ma trova la sua essenza più profonda e specifica nell’ambiguo, nel non risolto, nell’ibrido, in definitiva nella complessità.
Ovidio, compone un canto senza interruzione delle favole antiche, dove le storie nascono l’una dall’altra, si intrecciano e riaffiorano velocissime. Una sorta di enciclopedia in movimento dei racconti più famosi dell’antichità. Dove, e risiede proprio qui il suo tratto universale che gli ha consentito di parlare lungo le epoche, si concentrano tutte le passioni e le infelicità che regnano nel mondo degli esseri umani.
Siamo convinti che le Metamorfosi siano in primo luogo un grande spettacolo, un poema di meraviglia e stupore.
Abbiamo quindi deciso di concentrare la nostra attenzione su alcune delle storie che più di altre ci appaiono emblematiche per temi e significati.

La prima, L’Origine, in cui si descrive, in una sintesi abbagliante, l’inizio, prima che ci fossero le “cose”, in cui la natura mostrava ovunque un volto uniforme, nient’altro che una massa senza forma e confusa, un peso inerte, in una parola il Caos. Gli opposti si scontrano, configgono fino a quando il Demiurgo decide di appianare questo conflitto, separando la terra dal cielo, le onde dalla terra, assegnano un posto a tutto ciò che esiste, “stringendole in lacci concorde di cose”. A poco a poco il mondo prende forma. L’universo si riempie di esseri viventi e per ultimo nasce l’uomo, “l’unico essere che ha lo sguardo rivolto al cielo e non alla terra”. E da qui inizia la storia dell’umanità, che quasi immediatamente però produce guerra e menzogna, tanto da spingere gli dèi a sterminare il genere umano attraverso un diluvio di pioggia e mare.

La seconda, l’amore di Apollo per Dafne, qui ci troviamo nell’universo dell’eros più incontrollabile che sfocia nella violenza. Apollo nella sua tracotanza offende Cupido, e ne viene ripagato con una freccia che lo fa innamorare della ninfa Dafne. Questa respinge il Dio e fugge inseguita; quando sta per essere raggiunta, grazie alle sue preghiere e per sottrarsi all’assalto violento di Apollo, viene trasformata in alloro. Ma il Dio folle d’amore e passione non si arrende, si getta sulla pianta avvolgendola in un abbraccio feroce. La corsa nei boschi di Dafne per sfuggire alla foga amorosa di Apollo è terribile e insieme straziante, spaventosa, tanto è prossima ad una delle troppe cronache odierne.

La terza, Fetonte, è sostanzialmente la storia di un clamoroso disastro aereo causato dal folle ardire del giovane che compie il volo. Fetonte, nonostante le raccomandazioni e i consigli del padre, il Sole, che lo esorta alla prudenza, a tenere una giusta via di mezzo, a non volare né troppo in alto né troppo in basso, decide di cavalcare il carro del padre sprezzante del pericolo che lo attende. Fetonte non vuole ascoltare, Fetonte si mette in pericolo, Fetonte non accetta raccomandazioni e parte; i cavalli corrono all’impazzata, senza freni, il giovane ne perde presto il controllo, il carro prende fuoco, si incendiano anche i suoi capelli. Fetonte precipita come una stella cadente e muore. Sulla sua tomba vengono incisi due versi: “Qui giace Fetonte, auriga nel carro del padre: / a reggerlo non è riuscito, ma è caduto in un grande progetto”.

Restituire scenicamente il poema di Ovidio è una sfida vertiginosa che in primo luogo pretende la scelta di una lingua teatrale e performativa che consenta di raccontare questo mondo pirotecnico, cinetico, che fa della trasformazione, è forse più giusto dire della trasfigurazione, la sua prima e fondante ragione d’essere. Proprio per questo si è ritenuto opportuno e necessario, al fine di non perdere o eludere la complessità delle tematiche e della lingua del poema, costruire una sorta di concerto di musica, corpo e parola che possa restituire la potenza visiva e sonora di cui il testo di Ovidio è ancora oggi sorprendentemente portatore.
Danzatori, musicisti e voce recitante avranno il compito di condurre lo spettatore in quei luoghi di transizione e di visionarietà descritti nelle precedenti righe.
La scelta di coinvolgere nel progetto Metamorfosi, un regista come Andrea Baracco, che fonda parte del suo percorso di studio e lavoro sulla riproposizione dei classici nel contemporaneo; dei Munedaiko, un ensemble che ha nelle percussioni l’origine della propria ricerca performativa e di una giovane attrice come Nina Pons, nasce proprio dall’esigenza di costituire una lingua teatrale che sia pertinente, specifica e originale.

C’è una parità essenziale tra tutto ciò che esiste,
contro ogni gerarchia di potere e di valori
OVIDIO

da “Le Metamorfosi” di Ovidio

performer, musicisti
Mugen Yahiro, Naomitsu Yahiro, Tokinari Yahiro

voce recitante 
Nina Pons

regia e adattamento 
Andrea Baracco

assistente di produzione
Stella Comunello

direzione generale 
Maria Laura Rondanini

management 
Vittorio Stasi

in collaborazione con
Munedaiko

produzione
Cardellino srl

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